I limiti della razionalità scientifica

Lorenzo Magnani

Laboratorio di Filosofia Computazionale

Dipartimento di Filosofia - Università di Pavia

I-27100 Pavia - Italia

lorenzo@philos.unipv.it

1. Esperienza del divino e faglia emozionale

L’esperienza del trascendente non deve necessariamente essere trovata nel disagio, nel dolore, nella sofferenza di un io considerato come antirazionale e anticognitivo e quindi nella residualità emozionale della razionalità e del sapere positivo. Non vogliamo trovare Dio soltanto nello spazio del disagio della creatura, un Dio fermamente demarcato dalla precarietà umana. Si ha a che fare in questi casi con uno spazio di individuazione filosofica dell’esperienza del trascendente che si avvale di parole come emozione, insufficienza, precarietà, dolore, vita interiore intellettuale ed emotiva, radicalità dell’esperienza del soggetto, cuore, silenzio.

Molto spesso queste individuazioni filosofiche dell’esperienza del divino e della religiosità, che talora sono anche tipiche del common sense, si avvalgono di un alone antiscientifico o addirittura antagonistico alla stessa positività di qualunque "conoscenza". In questi contesti scientofobici l’antagonismo fra divino (e religiosità) e sapere (e conoscenza scientifica) indica una rinuncia alla prassi mondana e disegna un irriducibile ed emotivo silenzio interiore come garante del magico momento dell’avvenuto contatto fra la creatura e il creatore. D’altra parte l’attenzione "raccolta" per la parola rivelata comporta un’ovvia disposizione all’ascolto: ma perché le filosofie dell’ascolto devono essere scientofobiche? In queste immagini filosofiche il "silenzio" è tuttavia sempre e solo detto: mai agito nella difficile prassi della preghiera, della contemplazione, dell’austerità e della virtù, queste sì, sostitutive di una rinuncia alla prassi profana della conoscenza e della conoscenza scientifica.

L’esperienza del trascendente è così trovata nelle faglie antirazionali ed extracognitive dell’emozione (e della coscienza), del cuore e del disagio della creatura, nel deserto di un’interiorità radicale. Deve essere per forza non conosciuta e non conoscibile.

Naturalmente occorre dire che molte sono state e sono le vie sapienziali per giungere al trascendente, anche nella stessa tradizione del misticismo e che la stessa scienza è stata spesso considerata il migliore supporto di Dio e della religione. Non desidero tuttavia restaurare antiche e obsolete visioni del ritrovamento del trascendente grazie ai grandi saperi positivi quali la filosofia, la teologia e la scienza: dalla generazione del logos-Dio all’implicito contenuto teologico del sapere scientifico (per esempio la fisica newtoniana) come commento della creazione.

Non voglio dunque ripetere nella contemporaneità una nuova forma di ascesi scientifica a Dio e alla religiosità. Voglio prendere sul serio l’installazione dell’esperienza del trascendente nella faglia emotiva senza essere scientofobico prima di tutto per una ragione di coerenza, perché sono immerso nella prassi del sapere dell’epistemologia e della filosofia (e lontano da ogni simplicitas intellettuale e quotidiana) e inoltre per una ragione morale, perché considero le attuali operazioni di ritrovamento dell’esperienza del trascendente "oltre la scienza", nell’emozione e nel cuore, dicotomiche e preilluministe e nel contempo intrise di quella conflittualità antirazionale un po’ finta e ipocrita così facilmente albergante nel pensiero del cosiddetto post-modern alla moda. Nel contempo installare l’esperienza del trascendente nell’emozione in modo scientofobico è un atto pacificatorio perché evita il problema etico in quanto dà per scontato di averlo già intrinsecamente incorporato. Prendiamo ora sul serio le ragioni dell’emozione ricongiungendoci alla scienza e senza avere esiti antirazionali.

2. Emozione, cognizione, valutazione

Possiamo ben dire che fra ricorso all’insufficienza, alla precarietà, al dolore, al deserto interiore, alla radicalità dell’esperienza del soggetto, al cuore, al silenzio, sempre si ha a che fare con quello che le scienze cognitive, con espressione sintetica e prosaica, chiamano dimensione emozionale. Le conoscenze scientifiche intorno all’emozione sono oggi di molto aumentate (Thagard, 1996). Ad esempio conosciamo alcune cose sul ruolo dell’emozione nella cognizione che appaiono assai interessanti. La razionalità scientifica sposta sempre i limiti che si è prima posti (Magnani, 1997).

Le varie serie del telefilm Star Trek rafforzano l’immagine molto diffusa secondo cui il pensiero umano è intrinsecamente emozionale e quindi irrazionale. Nella prima serie Spock è un vulcaniano prevalentemente immune dalle emozioni umane e quindi molto logico: egli non è umano e, poiché privo delle emozioni umane, è decisamente superiore intellettualmente. Similmente in The Next Generation l’androide Data ha come cervello un computer che opera in modo intellettualmente superiore senza emozioni fino al momento in cui, nel film Generations, un chip emozionale lo porta ad avere un comportamento erratico e strano (cfr. Fig. 1).

Un punto di vista molto differente sul ruolo delle emozioni nel pensiero rispetto a quello di Star Trek si trova nel recente studio del neuroscienziato Damasio (1994). Egli descrive un gruppo di pazienti che hanno subito un danno cerebrale che ha interrotto il collegamento tra il neopallio (la parte del cervello in cui si ritiene avvengano le operazioni del pensiero di alto livello) e l’amigdala (la parte del cervello vicino al peduncolo in cui si ritiene avvenga la valutazione emotiva). Il danno cerebrale in questi pazienti li ha trasformati in versioni umane di Spock e di Data, liberando le loro più elevate funzioni corticali dall’influenza delle emozioni (cfr. Fig. 1). I pazienti non hanno però mostrato alcuna somiglianza a quegli esseri logici superiori. I pazienti descritti da Damasio non hanno dei deficit apparenti nelle loro abilità verbali e matematiche ma sono assai limitati nella loro capacità di condurre una vita normale. Un paziente per esempio può impiegare ore ed ore per paragonare i meriti di diversi ristoranti e non decidere mai in quale andare a cena. Altri pazienti sono diventati molto irresponsabili nelle loro interazioni sociali e del tutto incapaci di mantenere interrelazioni con gli altri e il lavoro. Secondo il punto di vista di Damasio le emozioni, lungi dal rappresentare l’intrinseca irrazionalità del pensiero umano sono dunque un aspetto essenziale e produttivo del pensiero umano e dell’azione. Le emozioni non sono dunque affatto irrilevanti nelle operazioni del pensiero.

Oatley (1992) ha descritto le emozioni umane come sempre connesse con il raggiungimento di scopi. Gli esseri umani ad esempio sono felici quando raggiungono i loro scopi e tristi quando non riescono. Se è andato bene un esame o un colloquio di lavoro oppure se si è stati invitati a una festa la felicità deriva dalla soddisfazione per il raggiungimento di scopi professionali e sociali.

Cosa ci insegna dunque la scienza più recente intorno al ruolo delle emozioni nelle attività del pensare e della conoscenza? Le emozioni sembrano dunque comportare un tipo speciale di rappresentazione generale di una situazione globale di problem solving. Non bisogna rimanere stupiti del fatto che anche alle emozioni possa essere attribuito uno statuto rappresentazionale. Esse si situano nel centro di un problem solving complesso perché caratterizzato da molteplici scopi in conflitto, mutamenti ambientali e ricchissime interazioni sociali. Le emozioni forniscono una valutazione sommaria della situazione di problem solving cui ci si trova di fronte in modo da riuscire ad ottenere due importanti contributi alle operazioni mentali successive. La valutazione del fatto che alcuni aspetti di una situazione sono estremamente importanti per il raggiungimento dei propri scopi può portare a focalizzare tali aspetti attraverso la concentrazione delle proprie limitate risorse su ciò che conta (per esempio ci aiutano a decidere cosa focalizzare e a cosa applicare i vari meccanismi di apprendimento disponibili). Le emozioni imprimono inoltre prontezza all’azione per il fatto che ci spronano sicuramente ad affrontare il problem solving anziché farci perdere tempo a pensare (Frijda 1986): la paura ci incoraggia a scappare. Le emozioni non sono dunque aspetti soltanto incidentali e antirazionali del pensiero umano ma hanno funzioni cognitive importanti che riguardano la valutazione, la focalizzazione e l’azione.

Le emozioni sono poi ovviamente fondamentali nello sviluppo delle interrelazioni affettive e sociali, molte spiegazioni basate su emozioni vanno oltre la rappresentazione verbale per esempio allorché comprendiamo le emozioni degli altri immedesimandoci nella situazione e provando un’emozione simile alla loro. Questo tipo di comprensione empatica si basa sul pensiero analogico attraverso lo sviluppo di un mapping tra la situazione di qualcun altro e la nostra che produce effettivamente in noi una qualche immagine dell’emozione che l’altra persona sta provando. Esperire delle emozioni e altre rappresentazioni rende inoltre capaci di riferire agli altri facilitando i piani collettivi (Oatley e Larocque, 1995). Esse svolgono dunque un ruolo centrale in quelle attività che talora in modo scientofobico vengono chiamate "interpretative" nonché nel modo "ermeneutico" con cui gli esseri umani si comprendono gli uni con gli altri.

Considerazioni analoghe a quelle svolte per l’emozione possono essere svolte nel caso della coscienza, vista anch’essa come centrale nel pensiero umano. Anch’essa può ad esempio svolgere un ruolo fondamentale nel focalizzare l’attenzione su ciò che è importante per una persona, gerarchizzando le risorse disponibili a seconda delle priorità delle azioni da eseguire.

3. Molteplici scopi in conflitto

Se troviamo l’esperienza del trascendente nelle faglie antirazionali ed extracognitive dell’emozione (e della coscienza) giungiamo dunque rapidamente a vedere che tale inserimento conduce a mostrarne il carattere primariamente valutativo del esperienza del trascendente. Tale esperienza del trascendente appare inoltre fondamentale nello sviluppo delle interrelazioni affettive e sociali perché favorisce il mapping tra la situazione di qualcun altro e la nostra che produce effettivamente in noi una qualche immagine dell’emozione che l’altra persona sta provando.

L’esperienza religiosa, che si voleva irrazionalisticamente trovata nella residualità emozionale della razionalità e del sapere positivo, viene al contrario rivista come contenuto delle emozioni (e delle altre rappresentazioni) capace di riferirsi agli altri facilitando i piani collettivi e le assunzioni di responsabilità. Il contenuto emotivo dell’esperienza religiosa svolge quindi un ruolo attivo nei processi di valutazione degli aspetti delle situazioni di problem solving che sono importanti per il raggiungimento dei propri scopi, un ruolo di focalizzazione di tali aspetti attraverso la concentrazione delle proprie limitate risorse su ciò che conta, spinta all’azione.

L’esperienza del trascendente installata nell’emozione si ritrova quindi fondamentalmente all’interno dei processi di decisione all’opera nel conflitto morale come garanzia formale del giusto agire, non mai rinuncia alla prassi, ma anzi sprone ad essa. È così che essa valuta e atterrisce i disonesti, i manichei e gli ipocriti e, nel mentre orienta nel conflitto morale, conduce alla salvezza.

Avevamo trovato l’esperienza del divino nelle irrazionalissime (e bisognose di consolazione) zone dell’insufficienza soggettiva, nella precarietà, nel dolore, nella irriducibile privatezza della vita interiore intellettuale ed emotiva, nella radicalità dell’esperienza del soggetto, nel cuore, nel silenzio di un deserto interno. L’analisi scientifica del ruolo cognitivo dell’emozione ci insegna che in quello stesso terreno l’esperienza del trascendente è sempre attrice di una prassi e non mai rinuncia ad essa, è di ausilio alla decisione, alla scelta e all’azione morale.

Anche la rinuncia alla prassi mondana e collettiva, propria ad esempio del monaco, appare così certamente rinuncia al privilegiamento del sapere profano e positivo, ma solo in quanto scelta consapevole di un’altra prassi, di un’azione e di un impegno etico continui, nello spazio della contemplazione, dell’austerità e della virtù, dove il tendenziale spegnimento dell’interesse per la conoscenza positiva, per la scienza, non ha affatto un carattere oppositivo e antirazionale. Come invece è, antirazionale e scientofobica, ottocentesca, la celebrazione delle faglie oscure extracognitive di certo post-modern di intellettuali e dottori snob e svagati, dove il misticismo di ogni simplicitas è solo detto, mai agito.

Bibliografia

Damasio, A. R. (1994), Descartes’ error, Putnam, New York (tr. it., L’errore di Cartesio, Adelphi, Milano, 1995).

Frijda, N. H. (1986), The emotions, Cambridge University Press, Cambridge.

Magnani, L. (1997), Ingegnerie della conoscenza. Introduzione alla filosofia computazionale, Marcos y Marcos, Milano, 1997.

Oatley, K. (1992), Best laid schemes: The psychology of emotions, Cambridge University Press, Cambridge.

Oatley, K. e Larocque, L. (1995), Everyday concepts of emotions: Following every-other-day errors in joint plans, in J. Russell, J.-M. Fernandez-Dols, A. S. R. Manstead e J. Wellenkamp (eds.), Everyday conceptions of emotions: An introduction to the psychology, anthropology, and linguistics of emotions, Kluwer, Dordrecht.

Thagard, P. (1996), Mind. Introduction to cognitive science, The MIT Press, Cambridge, MA (tr. it. di A. M. Marchini, ed. it. a cura di L. Magnani, Mente. Introduzione alla scienza cognitiva, Guerini & Associati, Milano, 1998).