Un mestiere difficile

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"Una scuola che non trasmette il sottile brivido che deriva dall'affrontare l'ignoto fallisce il suo compito"



prof. Ledo Stefanini
Università di Pavia
Sede di MANTOVA

UN MESTIERE DIFFICILE

ARNESI PER INSEGNARE LE FISICHE

Indice


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Iser Stefanini

Ho trascorso tutta la vita a San Benedetto sulla riva destra del Po. Appartenendo ad una famiglia di fornaciai – cioè di fabbricatori di mattoni, a mano – il fatto che abbia raggiunto una laurea in fisica ha rappresentato una sorta di riscatto sociale collettivo. Forse per questo ho preso molto sul serio il lavoro di insegnante nello stesso liceo in cui ero stato studente. Tanto sul serio da prendere una seconda laurea (in astronomia) e rifiutare di rassegnarmi ad una prassi didattica che, per gran parte, aveva solo le parvenze del rigore e della serietà, basata invece su una tradizione di cui nessuno conosceva origine e motivazioni. Ho tuttavia accumulato una bella esperienza nel mondo della scuola, partecipando con passione ai movimenti che, negli anni '70, sembravano annunciare un rinnovamento che, purtroppo, si rivelò presto costituito solo di apparenze e vuoti proclami. Anche il forte disagio prodotto dall'ambiente scolastico contribuì a spingermi a coltivare gli studi di fisica, nei quali – padana Violetta - trovare ristoro de' corsi affanni. Cominciai nei primi anni '70 a scrivere di didattica della fisica, scoprendo via via che la filosofia della natura non è prerogativa dei chierici, ma veramente è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l' universo). Soprattutto ho maturato la convinzione che l'insegnamento che viene impartito (è la parola giusta) nelle scuole italiane ha come fine quello di convincere il ragazzo che nessuno abbia il diritto di occuparsi di fisica se non munito di adeguata patente rilasciata dalle competenti autorità. Dovrebbe valere il contrario: ogni giovane uomo ha il dovere di occuparsi di filosofia della natura.

A questo punto dovrei enumerare le pubblicazioni che ho fatto e i riconoscimenti che ho ricevuto; il che equivarrebbe a dire che ho il diritto di parlare di fisica in quanto regolarmente patentato. Ma – l'ho già detto - questo non è importante. Molto di più lo è il fatto che anche l'ultimo corso (di fisica 2) l'ho vissuto come un viaggio, comandante di una ciurma di cui avevo la responsabilità. Il fatto che conoscessi i mari attraverso i quali facevamo rotta, ha solamente attenuato il senso dell'avventura che abbiamo condiviso. Una scuola che non trasmette il sottile brivido che deriva dall'affrontare l'ignoto fallisce il suo compito e si riduce a pura ritualità.