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Composizione e sperimentazione nel rock britannico 1967-1976

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NICOLA SANI

Le procedure compositive all’incrocio tra i generi: intervento alla tavola rotonda


Ringrazio Serena Facci e Gianmario Borio per avermi invitato a partecipare a questo incontro e a queste giornate di studio a Cremona, che hanno mosso delle corde e delle emozioni che erano latenti dentro di me. Spesso guardo quella parete di dischi monumentale che ho in casa, che contengono tante emozioni; dischi che non ascolto più da tanto tempo e che invece è importante saper ritrovare.
A proposito della questione se la musica rock progressiva abbia influenzato in qualche maniera la mia musica, la risposta è si, senz’altro, anche se questa influenza fa parte di una molteplicità di influenze sonore. Credo che questo sia comune all’esperienza formativa di altri compositori della mia stessa generazione; è però difficile dire quale di queste influenze sia stata più o meno determinante nel mio modo di comporre oggi. La mia formazione è avvenuta nella Roma degli anni Settanta, che era una Roma molto interessante, dove la musica contemporanea, di avanguardia, era profondamente unita alla musica sperimentale di ricerca. Ricordo che i concerti del Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza erano frequentatissimi dagli esponenti di gruppi della popular music. Roma in quel periodo venne frequentata a lungo dai compositori americani dell’area minimalista, come La Monte Young, Terry Riley, Philip Glass, ricordo i loro concerti alla Galleria “L’Attico” di Fabio Sargentini, che portò per primo questi compositori in Italia. Qualcuno ieri ha nominato il gruppo Musica Elettronica Viva, che nacque a Roma con Frederick Rzewsky, Alvin Curran, Richard Teitelbaum, Garret List, Antony Braxton e Steve Lacy; era quindi un ambiente che aveva molto a che fare con musiche dell’area extracolta. Ognuno di quegli artisti portava qualche cosa all’interno del gruppo. Noi ragazzini andavamo sempre ai loro concerti. Io stesso avevo formato un gruppo che si chiamava “Rumore Bianco”. Una volta ci capitò la grande occasione di suonare come gruppo spalla di Lucio Dalla a una Festa cittadina de L’Unità a Villa Borghese. Non era ancora il Lucio Dalla di Banana Republic, ma comunque era già il Dalla di Disperato, Erotico, Stomp, ecc…Non ci pareva vero. Facevamo una musica che era forse più vicina al “Pop Cosmico” tedesco (definizione che fu creata dalla stampa per definire la corrente musicale di Klaus Schulze, Tangerine Dream ecc…). Successe poi che dopo il nostro concerto venne giù un gran temporale e Lucio Dalla non poté suonare. Quindi quella sera fummo gli unici protagonisti. L’area di frequentazioni musicali nella quale mi sono formato fa parte quindi di quel tipo di sonorità che definirei “espansa”, che ha contribuito in maniera determinante all’apertura totale del mio linguaggio. Il rock progressivo fa anch’esso parte di queste influenze, per il tipo di sound, per una serie di elementi che “reagiscono” direttamente sul LP, come ha detto giustamente in un suo intervento Gianmario Borio. E, vorrei aggiungere, ancora di più in quell’anticamera del LP che è lo studio di registrazione, eccezionale reagente, collettore di energie, nel quale è entrata profondamente l’esperienza della musica elettronica. La nostra è la prima generazione di compositori che costruisce il suono senza alcuna distinzione dei mezzi di produzione, siano essi acustici, elettronici o elettroacustici. Abbiamo quindi a disposizione una “palette” sonora e linguistica di una ricchezza senza precedenti. Questo è il frutto di una sintesi molto interessante di tanti elementi che hanno incominciato a essere “trattabili” con la nostra generazione. Grazie ai percorsi dell’elettronica, del rock progressivo, del jazz ecc., che per la prima volta sono stati fatti interagire. Stockhausen raccontava spesso che tra i suoi studenti c’erano molti personaggi di spicco del rock americano, come i Grateful Dead ad esempio; o esponenti del rock tedesco come i Can o altri del pop elettronico. E il miglior omaggio del mondo del rock a Stockhausen è la sua effige nella copertina di Sgt. Pepper’s dei Beatles.
Vorrei tornare ora brevemente sul concetto di composizione “finita” e non finita, dove cioè il compositore dà un apporto ulteriore oppure portare avanti per alcune parti un lavoro direttamente con gli interpreti. A mio avviso bisogna fare attenzione a considerare “finito” ciò che è scritto. L’esperienza di Pierre Boulez insegna che un’opera anche se è scritta non è mai finita, ma prosegue, transita in un’altra opera successiva, diventa un’altra cosa che continua e si arricchisce. Ma non solo l’esperienza di Boulez; anche il concetto di work in progress che fa parte della musica dagli anni sessanta in poi ne è una dimostrazione. Questo è vero anche rispetto alla musica del passato; ora che noi che possiamo leggere delle traiettorie ben definite dall’inizio alla fine, anche se non siamo lì presenti mentre Beethoven componeva, guardando complessivamente a tutto l’arco della sua produzione, ci rendiamo conto di come certi processi siano rimasti aperti, anche se formalmente le composizioni sono chiuse, fino alla Grande Fuga ad esempio. Oggi penso che molto difficilmente si possa pensare che dei compositori che lavorano sulle tematiche che stiamo affrontando in questo convegno, quindi argomenti che hanno a che vedere con la sonorità, con la creazione del suono, con lo sviluppo del suono nello spazio, con la regia del suono, non considerino tutto questo come qualcosa di fondamentale che rimane aperto fino all’ultimo istante. Io stesso che ho un approccio di tipo progettuale alla composizione, il rapporto con lo spazio lo lascio completamente aperto a tutte le dinamiche che possono essere legate al momento in cui la composizione viene eseguita in un determinato luogo. La regia del suono è importantissima nella mia composizione. Posso predisporre dei parametri ideali di composizione, ma quello che poi avviene nello spazio è qualche cosa che non si può non sperimentare direttamente e che trasforma spesso in maniera molto drastica anche quello che si è pensato progettualmente in una prima fase. La verifica è totale e costante e l’elaborazione del tempo reale non è assolutamente un parametro secondario, anzi è centralissimo.
Per quanto riguarda la composizione di gruppo, penso che forse non si è tornati abbastanza su esperienze interessanti come quella del gruppo Fluxus e di gruppi legati al periodo Fluxus, non solo in Germania e negli Stati Uniti, ma anche a esperienze collegate in Spagna, come il gruppo Zaj, o in Italia. Credo che alcune questioni sulla composizione di gruppo siano state poste da quelle esperienze e che quelle esperienze forse non siano state studiate alla luce dei fenomeni che stiamo analizzando in questo convegno. Ricordavo ieri la figura di Cornelius Cardew e della Scratch Orchestra, di cui ad esempio facevano parte Brian Eno e Michael Nyman. La Scratch Orchestra era un esempio di composizione di gruppo. Ho citato anche il Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza (su cui era molto forte l’imprinting delle idee di Franco Evangelisti sulla composizione), Musica Elettronica Viva e vorrei ricordare un'altra grande figura della musica di quegli anni, Domenico Guaccero, che è stato anche un grande didatta. Guaccero, nella Roma di quegli anni, aveva fondato il gruppo Musica ex Machina, che sperimentava tecniche di composizione di gruppo direttamente sull’elettronica, in maniera simile a Musica Elettronica Viva, ma con un intento teatrale e drammaturgico diverso. Tutte queste esperienze meritano secondo me uno sguardo all’interno anche dei percorsi che fanno parte della popular music, perché sono esperienze in cui la composizione collettiva, tipica di esperienze come quelle dei Soft Machine o Henry Cow, si spostava su territori vicini a esperienze come quelle che noi portiamo avanti nella composizione di ricerca in questi anni. Per altro verso, anche all’interno di partiture di compositori come Stockhausen, di cui si è parlato molto qui e non a caso (Stockhausen ha attraversato una fase legata alla “Intuitive Musik” - musica intuitiva). Una composizione come Stimmung, ad esempio, risente molto del processo di scambio, del dare e avere tra gli esecutori, dare e riprendere suoni l’uno dall’altro. Sono magari episodi all’interno di un percorso che si nutre di tante altre cose, ma fanno parte anche di quelle esperienze di gruppo. Nella stessa definizione di “happening” rientra un processo di azione e reazione tra elementi di genere diverso. A questo punto mi sembra molto legittimo introdurre il concetto di composizione come momento “intermediale”, non soltanto sonoro. Intermedialità è un termine che preferisco a multimedialità; multimediale è qualcosa fatto apposta per essere venduto al mercato delle tecnologie, vuol dire giustapporre delle forme di trasmissione. Intermediale vuol dire invece mettere in relazione sinestetica, sinergica, delle forme di comunicazione che coinvolgono suono, immagine, movimento, spazio, in un processo di creazione. La composizione oggi non può più essere avulsa da questi elementi. In fondo il rock progressivo con  la sua gestualità (in questo convegno si è parlato molto dei Genesis, che erano anche molto teatrali) queste tematiche le ha poste. Sono state un crocevia importante dell’avanguardia. Fluxus le ha
poste. Mi pare facciano parte di un territorio di composizione intercodice che per noi oggi è imprescindibile
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