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NICOLA
SANI Le
procedure compositive all’incrocio tra i generi: intervento alla tavola rotonda
Ringrazio Serena
Facci e Gianmario Borio per avermi invitato a partecipare a questo incontro e
a queste giornate di studio a Cremona, che hanno mosso delle corde e delle emozioni
che erano latenti dentro di me. Spesso guardo quella parete di dischi monumentale
che ho in casa, che contengono tante emozioni; dischi che non ascolto più da tanto
tempo e che invece è importante saper ritrovare. A proposito della questione se la musica rock progressiva abbia influenzato
in qualche maniera la mia musica, la risposta è si, senz’altro, anche se questa
influenza fa parte di una molteplicità di influenze sonore. Credo che questo sia
comune all’esperienza formativa di altri compositori della mia stessa generazione;
è però difficile dire quale di queste influenze sia stata più o meno determinante
nel mio modo di comporre oggi. La mia formazione è avvenuta nella Roma degli anni
Settanta, che era una Roma molto interessante, dove la musica contemporanea, di
avanguardia, era profondamente unita alla musica sperimentale di ricerca. Ricordo
che i concerti del Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza erano frequentatissimi
dagli esponenti di gruppi della popular music. Roma in quel periodo venne frequentata
a lungo dai compositori americani dell’area minimalista, come La Monte Young,
Terry Riley, Philip Glass, ricordo i loro concerti alla Galleria “L’Attico” di
Fabio Sargentini, che portò per primo questi compositori in Italia. Qualcuno ieri
ha nominato il gruppo Musica Elettronica Viva, che nacque a Roma con Frederick
Rzewsky, Alvin Curran, Richard Teitelbaum, Garret List, Antony Braxton e Steve
Lacy; era quindi un ambiente che aveva molto a che fare con musiche dell’area
extracolta. Ognuno di quegli artisti portava qualche cosa all’interno del gruppo.
Noi ragazzini andavamo sempre ai loro concerti. Io stesso avevo formato un gruppo
che si chiamava “Rumore Bianco”. Una volta ci capitò la grande occasione di suonare
come gruppo spalla di Lucio Dalla a una Festa cittadina de L’Unità a Villa Borghese.
Non era ancora il Lucio Dalla di Banana Republic, ma comunque era già il Dalla
di Disperato, Erotico, Stomp, ecc…Non
ci pareva vero. Facevamo una musica che era forse più vicina al “Pop Cosmico”
tedesco (definizione che fu creata dalla stampa per definire la corrente musicale
di Klaus Schulze, Tangerine Dream ecc…). Successe poi che dopo il nostro concerto
venne giù un gran temporale e Lucio Dalla non poté suonare. Quindi quella sera
fummo gli unici protagonisti. L’area di frequentazioni musicali nella quale mi
sono formato fa parte quindi di quel tipo di sonorità che definirei “espansa”,
che ha contribuito in maniera determinante all’apertura totale del mio linguaggio.
Il rock progressivo fa anch’esso parte di queste influenze, per il tipo di sound,
per una serie di elementi che “reagiscono” direttamente sul LP, come ha detto
giustamente in un suo intervento Gianmario Borio. E, vorrei aggiungere, ancora
di più in quell’anticamera del LP che è lo studio di registrazione, eccezionale
reagente, collettore di energie, nel quale è entrata profondamente l’esperienza
della musica elettronica. La nostra è la prima generazione di compositori che
costruisce il suono senza alcuna distinzione dei mezzi di produzione, siano essi
acustici, elettronici o elettroacustici. Abbiamo quindi a disposizione una “palette”
sonora e linguistica di una ricchezza senza precedenti. Questo è il frutto di
una sintesi molto interessante di tanti elementi che hanno incominciato a essere
“trattabili” con la nostra generazione. Grazie ai percorsi dell’elettronica, del
rock progressivo, del jazz ecc., che per la prima volta sono stati fatti interagire.
Stockhausen raccontava spesso che tra i suoi studenti c’erano molti personaggi
di spicco del rock americano, come i Grateful Dead ad esempio; o esponenti del
rock tedesco come i Can o altri del pop elettronico. E il miglior omaggio del
mondo del rock a Stockhausen è la sua effige nella copertina di Sgt.
Pepper’s dei Beatles. Vorrei tornare ora brevemente sul concetto di composizione “finita”
e non finita, dove cioè il compositore dà un apporto ulteriore oppure portare
avanti per alcune parti un lavoro direttamente con gli interpreti. A mio avviso
bisogna fare attenzione a considerare “finito” ciò che è scritto. L’esperienza
di Pierre Boulez insegna che un’opera anche se è scritta non è mai finita, ma
prosegue, transita in un’altra opera successiva, diventa un’altra cosa che continua
e si arricchisce. Ma non solo l’esperienza di Boulez; anche il concetto di work
in progress che fa parte della musica dagli anni sessanta in poi ne
è una dimostrazione. Questo è vero anche rispetto alla musica del passato; ora
che noi che possiamo leggere delle traiettorie ben definite dall’inizio alla fine,
anche se non siamo lì presenti mentre Beethoven componeva, guardando complessivamente
a tutto l’arco della sua produzione, ci rendiamo conto di come certi processi
siano rimasti aperti, anche se formalmente le composizioni sono chiuse, fino alla
Grande Fuga ad esempio. Oggi penso
che molto difficilmente si possa pensare che dei compositori che lavorano sulle
tematiche che stiamo affrontando in questo convegno, quindi argomenti che hanno
a che vedere con la sonorità, con la creazione del suono, con lo sviluppo del
suono nello spazio, con la regia del suono, non considerino tutto questo come
qualcosa di fondamentale che rimane aperto fino all’ultimo istante. Io stesso
che ho un approccio di tipo progettuale alla composizione, il rapporto con lo
spazio lo lascio completamente aperto a tutte le dinamiche che possono essere
legate al momento in cui la composizione viene eseguita in un determinato luogo.
La regia del suono è importantissima nella mia composizione. Posso predisporre
dei parametri ideali di composizione, ma quello che poi avviene nello spazio è
qualche cosa che non si può non sperimentare direttamente e che trasforma spesso
in maniera molto drastica anche quello che si è pensato progettualmente in una
prima fase. La verifica è totale e costante e l’elaborazione del tempo reale non
è assolutamente un parametro secondario, anzi è centralissimo. Per
quanto riguarda la composizione di gruppo, penso che forse non si è tornati abbastanza
su esperienze interessanti come quella del gruppo Fluxus e di gruppi legati al
periodo Fluxus, non solo in Germania e negli Stati Uniti, ma anche a esperienze
collegate in Spagna, come il gruppo Zaj, o in Italia. Credo che alcune questioni
sulla composizione di gruppo siano state poste da quelle esperienze e che quelle
esperienze forse non siano state studiate alla luce dei fenomeni che stiamo analizzando
in questo convegno. Ricordavo ieri la figura di Cornelius Cardew e della Scratch
Orchestra, di cui ad esempio facevano parte Brian Eno e Michael Nyman. La Scratch
Orchestra era un esempio di composizione di gruppo. Ho citato anche il Gruppo
di Improvvisazione Nuova Consonanza (su cui era molto forte l’imprinting delle
idee di Franco Evangelisti sulla composizione), Musica Elettronica Viva e vorrei
ricordare un'altra grande figura della musica di quegli anni, Domenico Guaccero,
che è stato anche un grande didatta. Guaccero, nella Roma di quegli anni, aveva
fondato il gruppo Musica ex Machina, che sperimentava tecniche di composizione
di gruppo direttamente sull’elettronica, in maniera simile a Musica Elettronica
Viva, ma con un intento teatrale e drammaturgico diverso. Tutte queste esperienze
meritano secondo me uno sguardo all’interno anche dei percorsi che fanno parte
della popular music, perché sono esperienze in cui la composizione collettiva,
tipica di esperienze come quelle dei Soft Machine o Henry Cow, si spostava su
territori vicini a esperienze come quelle che noi portiamo avanti nella composizione
di ricerca in questi anni. Per altro verso, anche all’interno di partiture di
compositori come Stockhausen, di cui si è parlato molto qui e non a caso (Stockhausen
ha attraversato una fase legata alla “Intuitive Musik” - musica intuitiva). Una
composizione come Stimmung, ad esempio, risente molto del processo
di scambio, del dare e avere tra gli esecutori, dare e riprendere suoni l’uno
dall’altro. Sono magari episodi all’interno di un percorso che si nutre di tante
altre cose, ma fanno parte anche di quelle esperienze di gruppo. Nella stessa
definizione di “happening” rientra un processo di azione e reazione tra elementi
di genere diverso. A questo punto mi sembra molto legittimo introdurre il concetto
di composizione come momento “intermediale”, non soltanto sonoro. Intermedialità
è un termine che preferisco a multimedialità; multimediale è qualcosa fatto apposta
per essere venduto al mercato delle tecnologie, vuol dire giustapporre delle forme
di trasmissione. Intermediale vuol dire invece mettere in relazione sinestetica,
sinergica, delle forme di comunicazione che coinvolgono suono, immagine, movimento,
spazio, in un processo di creazione. La composizione oggi non può più essere avulsa
da questi elementi. In fondo il rock progressivo con la sua gestualità (in questo
convegno si è parlato molto dei Genesis, che erano anche molto teatrali) queste
tematiche le ha poste. Sono state un crocevia importante dell’avanguardia. Fluxus
le ha poste. Mi pare facciano parte di un territorio di composizione intercodice
che per noi oggi è imprescindibile. | |