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Rizzardi

Composizione e sperimentazione nel rock britannico 1967-1976

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VENIERO RIZZARDI

Composizione sperimentale e popular music: un’indagine storica

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È noto come le avanguardie artistiche degli anni Sessanta del XX secolo emergano da circostanze eccezionali che investono le società capitalistiche sviluppate e, nel momento in cui un diffuso disagio sociale e culturale diviene vero e proprio fenomeno di massa saldandosi poi, negli anni 1967-68, all’utopia politica, le pratiche artistiche tendono a ridefinirsi come pratiche sociali. In questa prospettiva l’avanguardia può essere intesa come un reticolo di esperienze le cui interrelazioni illuminano il senso delle singole produzioni: dunque in rapporto a una sperimentazione generalizzata che mette in questione discipline, tecniche e saperi, l’esame della costituzione interna dell’opera si palesa non sufficiente – se mai possa esserlo stato – a rendere ragione della sua novità.
Al termine di una riflessione su determinati episodi di rock sperimentale, Gianmario Borio ha proposto una nozione estesa di ‘materiale musicale’ che dovrebbe applicarsi anche al di fuori delle esperienze entro le quali quel concetto si è formato come strumento conoscitivo – si trattava di una nozione centrale nel pensiero dei compositori attivi negli anni Sessanta. Non vi sarebbero dunque soltanto somiglianze esteriori ma una sostanziale continuità tra le produzioni più critiche, autoriflessive, in qualche caso negative della composizione dell’epoca – il teatro strumentale di Mauricio Kagel per esempio – e l’avvento di nuove pratiche sperimentali, anche fondate sull’improvvisazione, per mezzo delle quali musicisti di formazione accademica, di tradizione afroamericana, o attivi nella popular music  sembrano volersi affrancare dalle convenzioni dei rispettivi ambiti di provenienza – e predisporsi a un incontro produttivo. (Borio, 2003: 333-349)
Da questo punto di vista la produzione progressive rock si annetterebbe a pratiche di avanguardia non già per gli aspetti di più appariscente complessità di scrittura – ciò che di solito rende così invitante l’analisi del testo: processi tematici particolarmente elaborati, varietà e non convenzionalità delle scansioni ritmiche, orchestrazione ecc. – ma per altre caratteristiche, compositive in senso allargato, che denotano la disponibilità a una più profonda trasformazione interna che il rock attinge alla sfera della composizione colta, assimilandone cioè le attitudini più critiche e sperimentali, nel frangente storico in cui la composizione stessa attraversa una fase autoriflessiva, confrontandosi con le tecnologie elettroacustiche, ascoltando altre culture, ponendo in discussione il rapporto scrittura-interpretazione, il circuito comunicativo compositore-interprete-pubblico, e in definitiva il ruolo sociale del musicista.
Provo intanto a trarre dalla storia della composizione musicale contemporanea un certo numero di episodi, rimasti in parte sottotraccia, percorrendo due filoni principali: quello della messa in questione del rapporto tra le nozioni convenzionalmente intese di scrittura ed esecuzione-interpretazione; e quello degli sviluppi indotti dall’impiego creativo di tecnologie elettroacustiche di recente introduzione, operate in modo sperimentale e idiomatico. I due aspetti sono strettamente connessi e convergono nella formazione di comunità artistiche all’interno delle quali le pratiche compositive non sono mediate primariamente dalla scrittura. Gli esempi che ho scelto si concentrano in prevalenza in un arco temporale che, per quanto ci riguarda, anticipa di poco la fioritura del progressive rock: è vero che nella musica il Sessantotto si annuncia con largo anticipo.

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