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Pagliuca

Composizione e sperimentazione nel rock britannico 1967-1976

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Le prime composizioni

IMMAGINI

Immagini è la mia prima canzone dove si racconta la voglia di donna. Volevo esprimere la mia sofferenza in un mondo dove tutto può succedere, anche l’impossibile: “Un ruscello sulla luna /Un cipresso nel deserto/tutti prati color viola / Ma lei non c’è, lei non c’è”. Una canzone profetica perché trovai la mia Lei dopo tanti anni.
Pensai ad una musica semplicissima costruita su un pedale di Do e su tre note dei tasti bianchi Do, re, mi, mi, do, re, mi, mi, il tutto giocato su un filo di voce e sugli accordi pieni dell’organo Hammond arricchiti poi dal cambio di velocità del Leslie.
Questa piccola canzone uscì di getto la chiamai Immagini e data la sua particolare atmosfera fu incisa nel disco mantenendo la sua semplicità.
Il gruppo aveva affittato per un mese una modesta casa nelle Prealpi venete a San Boldo. Gli strumenti in soggiorno e il tecnico del suono in cucina a preparare gustosi manicaretti.
Tra un’aria trovata sotto l’ombra di un pino e un arpeggio di chitarra in terrazza sono nate le prime canzoni di Collage.

COLLAGE

A me piaceva sia  la musica rock che quella classica (Bach, Beethoven, etc.) e sapevo poco dell’arte della  composizione, dopo teoria e solfeggio avevo studiato pianoforte ed armonia con il maestro Aldo Casati e diventare compositore era stata sempre una mia grande aspirazione, ma avevo ormai 24 anni!
Impazzivo per l’Intermezzo from Karelia suite di Sibelius (The Nice, 1969) sognavo di scrivere un pezzo così.
Mi rendevo conto che non ci sarei mai riuscito, ma volevo scrivere qualcosa per organo, magari una marcia nuziale facile da eseguire… Dovevo provarci.
Con Karelia in testa mi misi alla tastiera. Il primo pensiero fu di rallentare il ritmo e poi cambiare la tonalità da Sib maggiore a quella di Sol minore.
Trovai sull’Hammond una serie di accordi perfetti collegati tra di loro in modo armonico, Sol minore, Fa e Sib, e su questi cominciai a fare delle piccole variazioni aggiungendo poi l’accordo di Mib.
La frase aveva già un suo carattere e per continuare c’era solo il bisogno di una conferma dai colleghi. Se questi trovavano un disegno ritmico interessante allora il pezzo veniva preso in considerazione.
Suonandolo varie volte succedeva  automaticamente che “da materiale nasceva altro materiale”. (1) Dopo questa prima frase bisognava uscire dal Sib, ed ecco il cambio brusco in Do, Do4, Do, un  break ritmico arricchito dalla sincope.
A questo punto sentivo già  il bisogno di concludere (era la mia prima esperienza) e cercai una bella chiusura. Tra i miei LP c’era anche la Sinfonia di Mozart N. 40 K 550 suonata da Walter Carlos, ricordavo che l’allegro chiudeva con una efficace e poderosa cadenza.
Immaginai quest’ultima collegata al pezzo precedente e provai ad unire gli accordi Re e  Sol minore con  lo stesso ritmo di Mozart, e visto che la cosa funzionava mi azzardai ad aggiungere l’accordo di Fa.
Il pezzo filava e lo ripetevamo più volte divertendoci , ma mancava ancora qualcosa.
Innanzi tutto necessitava di una introduzione di grande effetto: il riferimento classico era la Fuga in re minore di Bach, ma questa non si poteva usare perché troppo sfruttata. Tra i dischi preferiti c’era quello di un gruppo inglese poco conosciuto in Italia, i Quatermass, il brano Post War, Saturday Echo iniziava proprio con un attacco simile.Un attacco aggressivo formato da una sorta di mordente inferiore dell’accordo di Sol minore.
Stranamente questa bellissima frase si ripeteva quattro volte. Saliva di tonalità e senza sviluppo sfumava ad libitum. Sembrava dirci: “Prendetemi! Questo stretto è per voi”. Presi  il primo frammento e costruii l’introduzione che si snodava in due momenti: il primo di grande effetto epico ed aggressivo e il secondo sommesso e misterioso che serviva a preparare  l’attacco del tema.
All’introduzione ora seguiva il tema che si poteva ripetere una seconda volta aggiungendo un pieno di accordi al pianoforte, ma nonostante ciò la composizione era troppo breve. Cercai una risposta al primo  tema  e un’altra combinazione di suoni, ma inutilmente e dopo tanti e tanti tentativi mi arresi. Sembrava che il tema non si lasciasse ampliare.
Volevo qualcosa di sorprendente, qualcosa di nuovo. Il nuovo arrivò: era il passato! Prima provai con Mozart, ma il pezzo che io conoscevo non legava bene.
Il brano giusto lo trovò il nostro produttore artistico che propose la sonata K 380 di Domenico Scarlatti in Si maggiore, abbassata per l’occasione di un semitono. L’idea calzava, le due musiche pur avendo origini diverse si integravano e si completavano in un perfetto Collage.
La dolcezza della musica classica da camera che si sposava  con il rude rock da garage. Ma il pezzo non poteva finire così, il finale bisognava annunciarlo a tutti e chi avrebbe potuto farlo meglio delle magniloquenti trombe scritte e dirette dal maestro Reverberi?

UNA DOLCEZZA NUOVA

Seguire le orme dei maestri. Con questo imperativo Le Orme marciavano verso il loro secondo lavoro. Uomo di pezza inizia con l’enunciazione del tema della Ciaccona di Bach–Busoni, (2) suggerito da Reverberi, prende vivacità in un ostinato unisono di basso batteria e tastiere. Qui il gruppo fa un passo avanti rispetto la precedente esperienza della suonata di Domenico Scarlatti proponendo un originale disegno ritmico 3/4, 4/4, 5/4 che si inserisce come supporto al tema bachiano. Il riff ritmico nasce dalle otto battute di solo libero di organo. L’ ouverture chiude maestosamente in Re maggiore e in dissolvenza entra il pianoforte con un nuovo soggetto ispirato dall’accordo finale. Un nuovo preludio successivamente sviluppato da Reverberi. Il ritornello invece è sbocciato per simpatia alla garbata elegia, suggeritrice tra l’altro, del titolo: Una dolcezza nuova. In questo caso è stato proprio il motivo al pianoforte che ha ispirato la melodia.

LA PORTA CHIUSA

Dovevamo cimentarci anche noi come i migliori gruppi inglesi in un tempo dispari. I tempi più in uso e più famosi erano i 5/4 o i 7/4. Imbastimmo un giro di basso in 7/8 sotto un semplice tema con il sintetizzatore Mini-Moog. Nacque una strana atmosfera di suspence che procedeva senza difficoltà nonostante il ritmo azzoppato per la mancanza di un ottavo. Anche il testo aspirava ad un’ amalgama di suoni misteriosi: “Come ogni sera sei sola nel buio / il tuo candore ti fa compagnia”. Tutta la strofa è stata costruita sul giro di basso e sulla sequenza degli accordi di organo privi di terza (quinta e ottava) Le risposte strumentali suonate con il sintetizzatore rappresentavano la voce del personaggio che bussa alla porta. La storia voleva essere a lieto fine e ritorna alla parte finale della Ciaccona creando un maestoso impatto sonoro: Il suono delle campane, il piano e l’organo scendono giù come raggi di sole sull’altare degli sposi. Il finalissimo è una pirotecnica esplosione di suoni derivati da un gioco ginnico sulle due tastiere dell’Hammond.

ALIENAZIONE

Alienazione è l’ultima traccia di Uomo di pezza. E’ un brano strumentale che pur avendo il suo significato intrinseco non è mai stato eseguito in concerto. Ricordo che eravamo arrivati in studio con le canzoni contate, erano solo sei. Eravamo molto coraggiosi in quel periodo e non avremmo avuto difficoltà ad inventarci un pezzo strumentale in studio. Volevamo ripetere la formula fortunata dei sette pezzi di Collage, però dopo aver sentito le sei canzoni appena incise eravamo così soddisfatti del lavoro che non sentivamo il bisogno di aggiungere niente.Ma c’era un problema di tempo. Le tre canzoni del lato B (Breve immagine, 2’42’’; Figure di cartone, 3’48’’; Aspettando l’alba, 4’43’’) arrivavano appena a dieci minuti contro i quindici minuti e dieci secondi del primo lato. Bisognava compensare, per motivi tecnici, con un altro brano. Alienazione è stato ideato e registrato direttamente in studio senza tante prove. Trovato il riff di organo il resto è seguito a ruota. Si potrebbe definire un "improvviso di gruppo". Tre anni dopo a Los Angeles successe un fatto analogo, eravamo a corto di idee e Tolo improvvisò un soggetto alla chitarra e nacque Laurel Canyon.

CONTRAPPUNTI

Ricordo un particolare del primo brano di questo album: ero stato affascinato dalla Sonata per piano di Stravinskji e volevo scrivere qualcosa con lo stesso linguaggio atonale. Suonai al piano il mio tema con la parte dei bassi che procedeva per aumentazione.
L’idea piacque subito a Gianpiero e nel giro di pochi minuti il pezzo era già fissato e completato sul pentagramma pronto per essere inciso. Lo stesso procedimento fu messo in atto per scrivere il nostro Notturno elettronico. Da un cimento sulla dodecafonia a un tema formato da una successione di note insolite, sviluppato poi in maniera neo-romantica.

AMICO DI IERI

Nella metà degli anni settanta il suono delle tastiere aveva cominciato a stancare. Il Mellotron, il sintetizzatore Mini Moog, l’Eminent e tutte le altre tastiere erano presenti in tutti i dischi, non si riusciva più ad apprezzare nemmeno i lavori dei grandi ELP. Dovevamo cercare al più presto un altro strumento che rinnovasse il nostro sound e la chitarra mi sembrava la più indicata. Quando vidi la prima volta Tolo Marton in azione lui aveva la chitarra penzoloni e stringeva tra le mani l’armonica a bocca.
La musica è matematica, mi sono detto, e se Tolo suona l’armonica così chissà cosa saprà fare con la chitarra. La composizione con il nuovo arrivato però non cambiò un granché. Probabilmente con l’inserimento del quarto elemento il gruppo aveva bisogno trovare nuovi equilibri e alcune incomprensioni hanno impedito che le bellissime parti di chitarra proposte da Tolo venissero sfruttate a dovere.
Ironia della sorte,  la casa discografica scelse come singolo Amico di ieri, una canzone di Aldo, che trova il suo apice nell’assolo di armonica improvvisato in studio da Tolo Marton.

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1. Intro / La composizione di
gruppo / Le parole / Aldo Tagliapietre / Michi Dei Rossi / Gianpiero Reverberi

2. Le prime composizioni

 

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