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Composizione e sperimentazione nel rock britannico 1967-1976

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HUGH HOPPER

Composizione e sperimentazione nel rock britannico 1966-1976. Workshop – “Le tecniche compositive nei gruppi progressive rock” (*)

Nei Soft Machine, i singoli musicisti lavoravano principalmente da soli per comporre, cioè preparavano un brano a casa e poi lo presentavano al resto del gruppo.
Dopo avere provato il pezzo e averlo eseguito diverse volte in pubblico, vi apportavamo delle modifiche, improvvisavamo alcune parti e sostituivamo o eliminavamo certe sezioni.

A volte l’idea originale era  piuttosto semplice e si sviluppava parecchio, in altri casi avveniva il contrario, cioè la composizione originale era interamente composta e messa in partitura, pertanto rimaneva immutata.
Dipendeva anche dai singoli musicisti; infatti ognuno ha un’educazione differente e dunque un approccio differente.
Per quel che mi riguarda, non ho studiato musica, ho imparato ascoltando. Adesso spero di saperne di più, ma allora componevo suonando sullo strumento; elaboravo un tema, disponevo gli accordi. Le cose stavano diversamente per gli altri membri del gruppo. Mike Ratledge, il tastierista, aveva avuto un’educazione classica, conosceva la musica classica e quella contemporanea; e il suo approccio era“più corretto”, se vogliamo usare questa espressione, il mio era più caotico.

La sezione centrale del brano che abbiamo appena suonato è un pezzo che si chiama  Facelift e che ho scritto parecchio tempo fa, suonando esclusivamente il basso e seguendo semplicemente una melodia che mi piaceva. Non avevo alcuna idea riguardo la struttura armonica; infatti lo si può considerare come un brano modale in mi minore - però me no sono reso conto in seguito, suonandolo con gli altri che mi chiedevano: “Che cosa succede qui? Che cosa succede là?”, perchè quando presenti un pezzo ad altri musicisti bisogna che essi sappiano cosa devono fare. Ma innanzitutto io componevo dei pezzi lasciandomi trasportare da una melodia il cui suono mi interessava

Armonicamente [Evasioni Totali] è un brano molto semplice, in due occasioni c’è una parte in cui suoniamo un riff ostinato. E’ vero che nel periodo del progressive c’erano diversi gruppi che facevano cose estremamente complicate, ma è anche vero che c’erano dei momenti in cui si suonavano per un lungo tratto  parti molto semplici, diciamo nello stile dei Grateful Dead. O di altri simili.  Stasera vi abbiamo dato solo un assaggio di questo tipo di situazione, una versione abbreviata; solo per un paio di minuti abbiamo inserito una parte libera.

Daevid [Allen] ha avuto una grande influenza su di me quando ero giovane, probabilmente un’influenza “cattiva”. E’ lui che mi ha insegnato a creare i loop, a capire come utilizzarli e come creare veri e propri ambienti sonori. Mi ha anche introdotto a tutta una serie di sostanze illegali. Tutto questo, combinato, ha dato vita alle mie prime composizioni musicali. Daevid è una persona estremamente creativa, è anche un po’ matto, ma d’altra parte chi non lo è? Mi piace l’idea che suoni ancora e che stia facendo diverse versioni di quello che aveva fatto con i Gong.
L’ultima volta che l’ho visto era a Londra con gli Acid Mothers Gong. C’era un grande muro di suono e di rumore: c’erano cinque chitarristi giapponesi, completamente matti, poi c’erano Daevid, Didier Malherbe, Josh [Pollock], Gilli Smith, che sta con Daevid da parecchio tempo. Gilli Smyth alla fine ha detto che quel concerto stava all’udito come il Jackson Pollock sta alla vista . Ed era vero.  Daevid è grande. Adesso penso abbia 67 anni e sta ancora facendo cose interessanti. E’ sempre stato uno fuori dalla righe, esagerato, non gli è mai piaciuto vivere tranquillo e penso sia una persona importante.

In realtà non volevamo proprio fare parte di quello che era l’ambiente circostante, proprio per questo tutti avevano il chitarrista e i Soft Machine avevano deciso di non avere un chitarrista. L’idea era quella di fare quello che gli altri non facevano, di fare qualcosa di diverso.

Quando lo suonavamo e lo ascoltavamo non lo chiamavano progressive rock, ne ha parlato ieri Gianmario, lo chiamavamo underground. “Progressive” è un’etichetta che è stata assegnata in seguito, probabilmente da un giornalista. Sono cose che succedono, sempre. Io per esempio sono nato a Canterbury, nel Kent, e sono uno dei pochissimi musicisti che potrebbe veramente essere considerato appartenente alla “scuola di Canterbury”, ma anche Chris [Cutler] e’ considerato tale, anche se a Canterbury lui non c’è neanche mai stato. Sono semplificazioni che vengono fatte nelle generalizzazioni e negli studi sulla musica, perché è più facile dire “questa è musica di Canterbury”, è un’etichetta, e in effetti ha aiutato anche noi, perché il nostro disco finiva in questa sezione e la gente andava a cercarlo proprio lì. E’ una semplificazione, però è una cosa che succede abbastanza spesso nella vita: ci piace avere delle etichette abbastanza semplici per riconoscere le cose.

Per me [i limiti temporali indicati dal Convegno 1966-1976] sono giusti, perché nel 1966 è uscito Revolver dei Beatles e la musica psichedelica è diventata qualcosa di più di un fenomeno per pochi. Recentemente ho sentito Cynthia Lennon, l’ex-moglie di John, che presentando un suo libro alla radio ha detto che prima degli anni Sessanta era tutto in bianco e nero, come nei film, poi improvvisamente negli anni Sessanta e il mondo è apparso a colori.
A proposito del 1976: improvvisamente l’attenzione della stampa musicale si concentrò sul movimento punk. All’inizio pensavo che fosse un costrutto della stampa, però poi mi sono reso conto che era un fenomeno reale. Questo naturalmente non ci ha impedito di continuare a fare musica come volevamo, però si è avvertito un cambiamento nello spirito, soprattutto in Gran Bretagna, e io penso che si stava andando verso gli anni di Maggie Thatcher, e quindi anche politicamente c’era un cambiamento.

[Il decadimento del progressive] è la  conseguenza naturale dell’essere passati dall’uso di strumenti acustici all’inserimento in essi della tecnologia. Ci sono moltissime possibilità, ovviamente. Al momento la logica evoluzione è rappresentata dall’informatica e da Internet, che ha estremizzato la tendenza dilagante a non andare ai concerti e a non comprare i CD, a non produrre più la propria musica. Sta diventando più che altro una questione di esperienza individuale, magari si potrà avere il proprio mp3 e lo si potrà far ascoltare all’amico, ma è un’esperienza ben diversa da quella che si aveva andando tutti insieme ai concerti o facendo la propria musica.

Per motivi differenti in ogni gruppo sono state portate influenze diverse. Mike Ratledge nei Soft Machine era un musicista molto preparato, conosceva molta musica del XIX secolo ma anche tanti altri differenti tipi di musica.

E quando avevamo quindici, sedici, diciotto anni, volevamo ascoltare ogni tipo di musica: free jazz, composizioni contemporanee, musica elettronica. Io ascoltavo un disco di Stockhausen, Kontakte, una cosa che oggi si può fare in una mezza giornata, ma allora ci vollero circa sei mesi - cosi’ tanto e’ avanzata la tecnologia da allora.
Non era questione di consapevolezza, era piu’ un’invenzione: alcune band ne erano piu’ influenzate, [dalla composizione contemporanea] altre meno, ma sono certo che c’era qualcosa nell’atmosfera che le circondava

Prima Mario [Garuti] parlava di malinconia e di accordi minori. E’ vero, perché io ricordo che nel 1969-1970, quando scrivevamo per i Soft Machine, noi avevamo una specie di contratto non scritto,  dovevamo esprimere malinconia, non dovevamo semplicemente cantare in 4/4; non era una regola scritta, ma alla fine quasi tutta la musica era in modo minore, e anche molte variazioni.

Dal punto di vista dei gruppi rock e pop io penso che non dobbiamo dimenticare che nella vita di molte band i membri erano in conflitto l’uno con l’altro,  non andavano d’amore e d’accordo nel lavorare insieme.  Ma. nel caso degli Henry Cow, loro riuscivano a superare le tensioni nel momento in cui componevamo insieme.

Per molti anni il maggior problema tra Lennon e McCarney era che lavoravano insieme. Ho letto storie di conflitti tra loro, c’era una grande rivalità. Non appena Paul McCartney scrisse Paperback Writer, che era la parte A di un singolo, John corse a casa e scrisse Rain, che divenne la traccia B di quel singolo perchè loro erano veramente pieni di “armi” Forse all’inizio loro si piacevano veramente, poi nel 90% della vita della band erano in guerra l’uno contro l’altro.
La mia esperienza è che nella maggior parte delle band le cose vanno cosi’; si può improvvisare insieme, ma io penso che sia proprio raro che si faccia veramente una composizione insieme. Voglio dire che in genere c’e’ una figura leader e le composizioni non sono scritte da una stessa persona. Questa è la mia esperienza:  è più un’eccezione che un regola che i membri di una band compongano insieme, mentre possono improvvisare insieme.

Una delle domande riguardava se prendevamo in considerazione la possibilità di diventare musicisti classici. Noi tutti eravamo circondati da tante possibilita’, intendo la musica classica contemporanea e la musica elettronica, ma avevamo un’unica preoccupazione: non suonare come una country band, suonare come nessun altro.

 

 

 

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