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Composizione e sperimentazione nel rock britannico 1967-1976 |
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Lo spazio
sonoro Il
fissaggio sonoro in un supporto rende la registrazione (su nastro, LP
o CD) un artefatto autonomo per la diffusione delle composizioni dei gruppi
rock. Per molti di essi il disco è infatti qualcosa di diverso dall’esecuzione
dal vivo. Ogni album di un gruppo è generalmente caratterizzato da un
suono (sound) particolare,
dovuto non tanto ai possibili cambiamenti nella formazione ma all’impronta
sonora che si vuole legare al contenuto del disco.; prendiamo ad esempio
il suono ruvido di Larsk’s Tongues
in Aspic dei King Crimson. Negli ultimi anni (Camilleri 2005)
ho sviluppato un concetto particolare di spazio sonoro, articolato in
tre dimensioni, ciascuna delle quali ha specifiche caratteristiche: spazio
localizzato, spazio spettrale e spazio morfologico. Lo spazio localizzato
viene utilizzato per rappresentare la disposizione dei suoni all’interno
della finestra stereofonica. L’articolazione dei suoni all’interno dello
spazio stereofonico passa da una pura rappresentazione della posizione
degli strumentisti sul palco (le prime registrazioni dei Beatles) a uno
spazio composto in cui i suoni sono localizzati e si muovono (Summer ’68 dei Pink Floyd). Lo spazio spettrale
riguarda l’occupazione dell’ambito frequenziale da parte degli eventi
sonori. L’insediarsi in una precisa banda di frequenza, una dispersione
in più bande o altri tipi di distribuzione degli eventi in questo spazio
può dare risultati sia di caratterizzazione timbrica che di saturazione
o svuotamento. Come spazio morfologico, invece, intendo uno spazio definito
dal tempo, in cui si articolano le traiettorie dei vari eventi sonori.
Singolarmente, nella loro unione sequenziale o nella loro sovrapposizione,
gli eventi sonori formano dei gesti che, spesso, caratterizzano l’andamento
di una struttura sonora. Lo spazio morfologico è il “teatro” in cui questi
gesti, più o meno marcati, si articolano, conferendo un’identità ben definita
a un brano musicale. Il compositore inglese Trevor Wishart (1986) chiama
lo spazio sonoro paesaggio,
proponendo un’evidente analogia con quello naturale. Dato che questo termine
potrebbe confondersi con quello che comunemente viene chiamato “paesaggio
sonoro” (soundscape), una
rappresentazione reale o immaginaria dei suoni di un determinato luogo,
penso che una definizione più neutra sia preferibile. Allan Moore (1993)
usa invece la metafora della “scatola sonora” (sound
box) per indicare lo spazio
tridimensionale in cui si svolgono le azioni sonore. L’esempio che si riferisce allo spazio aperto/spazio chiuso è particolarmente
interessante e evidente. Nell’album Three
Friends dei Gentle Giant, si passa, senza soluzione di continuità
dal penultimo brano Mister Class and Quality? e quello conclusivo
Three Friends; una cosa
che cambia in modo radicale è lo spazio, immaginario, in cui si muovono
gli strumenti. Uno spazio chiuso quello del brano precedente, uno spazio
aperto o almeno molto vasto, quello di una cattedrale, quello del brano
finale. La sensazione comunicata, quella di un ingrandimento dello spazio
sonoro, serve a far risaltare maggiormente la conclusione del disco che,
essendo un concept album, è anche la fine della storia su cui esso si
basa. La scenografia sonora è, in questo caso, funzionale al discorso
sonoro complessivo. (esempio audio 12) Se il termine scenografia
è relativo alla cornice sonora in cui gli eventi si articolano, la drammaturgia riguarda la modalità della loro
organizzazione nel tempo. Per definire gli elementi che controllano il
passaggio da un impostazione all’altra e articolano dinamicamente i tre
tipi di spazio sonoro viene utilizzato il termine comportamento.
I comportamenti sono dinamici e articolano nel tempo le proprietà dello
spazio sonoro attraverso coppie di stati opposti. Fig.5. Comportamenti dello spazio sonoro Fig.6. Articolazione dei comportamenti sonori in River dei Gentle Giant Un altro elemento interessante è il motivo dell’introduzione che nella parte centrale viene alterato attraverso un comportamento instabile dello spazio sonoro. Come abbiamo potuto vedere, l’impostazione e il comportamento sonoro sono una messa in scena degli elementi funzionale al discorso musicale che il musicista o gruppo musicale vuole condurre in quel tipo di brano o di album. Il progressive rock è una musica che basa la comunicazione musicale sul fissaggio sonoro in un supporto ed è quindi naturale che sviluppi le strategie per connotare con un impronta sonora il suo messaggio e utilizzi lo spazio sonoro come ulteriore elemento compositivo. Le caratteristiche della tecnologia musicale che abbiamo analizzato hanno un vario grado di interdipendenza fra di loro. Lo spazio sonoro ha legami stretti con l’uso dello studio di registrazione come strumento compositivo e con le trasformazioni sonore. L’impiego dei suoni del mondo reale ha un legame con il loop, se si vogliono decontestualizzare questi elementi, e con lo spazio sonoro. Possiamo quindi affermare che il progressive rock, essendo una musica basata sul fissaggio del suono in un supporto non fa altro che metabolizzare questi elementi, dovuti alla sperimentazione della musica elettroacustica, nel suo linguaggio musicale e nei differenti approcci stilistici dei vari gruppi. Tutte queste tecniche di articolazione degli elementi sonori non sono da considerare come produttrici di effetti o eventi decorativi bensì come strumenti funzionali alla composizione. Sono elementi che entrano in gioco nelle strategie compositive di un brano così come le altri componenti (armonia, melodia, ritmo). Il rock è una musica che viene “messa in scena a livello sonoro”; il suo palcoscenico è spesso quello immaginario ma quanto mai concreto della finestra stereofonica delle cuffie o del nostro impianto audio. |
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